Const. Ap.

Universi Dominici Gregis

de Sede Apostolica vacante

deque Romani Pontificis electione

 

Introduzione

PARTE PRIMA

LA VACANZA DELLA SEDE APOSTOLICA

Cap. I: POTERI DEL COLLEGIO DEI CARDINALI DURANTE LA VACANZA DELLA SEDE APOSTOLICA (1 - 6)

Cap. II: LE CONGREGAZIONI DEI CARDINALI IN PREPARAZIONE DELL'ELEZIONE DEL SOMMO PONTEFICE (7 - 13)

Cap. III: CIRCA ALCUNI UFFICI IN PERIODO DI SEDE APOSTOLICA VACANTE (14 - 23)

Cap. IV: FACOLTÀ DEI DICASTERI DELLA CURIA ROMANA DURANTE LA VACANZA DELLA SEDE APOSTOLICA (24 - 26)

Cap. V: LE ESEQUIE DEL ROMANO PONTEFICE (27 - 32)

 

PARTE SECONDA

L'ELEZIONE DEL ROMANO PONTEFICE

Cap. I: GLI ELETTORI DEL ROMANO PONTEFICE (33 - 40)

Cap. II: IL LUOGO DELL'ELEZIONE E LE PERSONE IVI AMMESSE IN RAGIONE DEL LORO UFFICIO (41 - 48)

Cap. III: L'INIZIO DEGLI ATTI DELL'ELEZIONE (49 - 54)

Cap. IV: OSSERVANZA DEL SEGRETO SU TUTTO CIÒ CHE ATTIENE ALL'ELEZIONE (55 - 61)

Cap. V: LO SVOLGIMENTO DELL'ELEZIONE (62 - 77)

Cap. VI: CIÒ CHE SI DEVE OSSERVARE O EVITARE NELL'ELEZIONE DEL SOMMO PONTEFICE (78 - 86)

Cap. VII: ACCETTAZIONE, PROCLAMAZIONE E INIZIO DEL MINISTERO DEL NUOVO PONTEFICE (87 - 92)

Promulgazione

 

82. La nullità e l'invalidità delle capitolazioni eventualmente compiute dai Cardinali

82. Parimenti, vieto ai Cardinali di fare, prima dell'elezione, capitolazioni, ossia di prendere impegni di comune accordo, obbligandosi ad attuarli nel caso che uno di loro sia elevato al Pontificato. Anche queste promesse, qualora in realtà fossero fatte, sia pure sotto giuramento, le dichiaro nulle e invalide. par82

 

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Fonti

PIUS IV, Const. Ap. In eligendis..., § 3.
GREGORIUS XV, Const. Ap. Aeterni Patris..., § 18.
GREGORIUS XV, Caeremoniale Romano Pontifice..., § Porro capitula...
PIUS X, Const. Ap. Vacante Sede Apostolica..., n. 83.
PIUS XII, Const. Ap. Vacantis Apostolicae Sedis..., n. 96.
PAULUS VI, Const. Ap. Romano Pontifici eligendo..., n. 83.

 

Commento

Nel passato avveniva spesso che, prima di procedere a qualsivoglia accordo elettorale, si sottoscrivevano alcune promesse, da adempiersi qualora si fosse stati eletti al Pontificato. Questi impegni elettorali non necessariamente erano da considerarsi negativamente. Sovente erano impegni a rispettare la tradizione della Chiesa, a effettuare il risanamento del patrimonio, abolire alcune norme ritenute ingiuste, ecc. . Ciò che caratterizzava le capitolazioni era la partecipazione di tutto il corpo elettorale, da cui ne poteva venire una loro utilità. Esse erano caratterizzate da un comune giuramento degli elettori, con l'impegno a trattare quegli affari della Chiesa ritenuti necessari e che, ogni singolo si impegnava ad adempiere se eletto.
Il semplice e comune giuramento sottoscritto da tutti gli elettori cambia la sua natura fondamentalmente positiva ed assume una valenza negativa poiché le capitolazione iniziano ad essere sempre più caratterizzate da una o più dei seguenti fattori::

  • questi accordi, non trovando unanimità, riguardano sempre più uno o più gruppi di elettori;

  • gli impegni, non essendo più condivisi e sottoscritti da tutti i membri del Collegio elettorale, tendono a perdere il loro carattere pubblico per divenire un patto segreto;

  • Venendo meno il bene universale della Chiesa, il contenuto degli impegni presi assume sempre più un contenuto di prevalente interesse privato.

Questo mutamento porterà gradualmente a vietare tali capitolazioni. La prima attestazione, riguardante il divieto di tale prassi, risale a Pio IV, il quale nel 1562 con la Const. Ap. In eligendis dispone che:

"...celebrata la Messa dello Spirito Santo, siano arrivati o no i Cardinali assenti, quelli che si trovano presenti entrino nel Conclave e, riunitisi senza indugio, ed omessa la redazione dei capitula, solita farsi nei primi giorni, procedano all'elezione" (Pius IV, Const. Ap. In eligendis..., § 3).

Pio IV riconosce la presenza di questa prassi e, pur non dichiarando ciò cosa detestabile, dispone che il Collegio accantoni e dismetta questa via. Letteralmente utilizza l'espressione omissa omnino capitolorum confectione primis diebus fieri solitorum. La gravità di questa prassi non viene rilevata. Il Legislatore mostra la sua volontà di cambiare rotta, di non confidare in questa via, ma piuttosto nell'aiuto divino.

Gregorio XV nella Const. Ap. Aeterni Patris, quando tratta in modo generico del divieto riguardante ogni forma di patto o accordo, non utilizza la parola specifica capitula (cfr. Gregorius XV, Const. Ap. Aeterni Patris..., § 18). Tuttavia, il riferimento specifico alle capitolazioni lo incontriamo nel Cerimoniale. Qui egli dispone che:
"...i capitoli soliti farsi prima della elezione, e che devono firmarsi da tutti i Cardinali, anche quelli a favore dei Conclavisti, possono redigersi o prima o dopo l'ingresso nel Conclave, purché a causa loro non ne venga ritardato o differito l'ingresso o l'elezione..." (cfr. Caeremoiale Romano Pontifice,..., § Porro capitula... ).
Potrebbe sembra contraddittorio il divieto generale dei capitula decretato nella Costituzione e la concessione poi dei medesimi data nel Cerimoniale. Probabilmente le due espressioni vanno lette in modo differente. Nella Const. Ap. Aeterni Patris si parla di capitoli stricto sensu mentre il Cerimoniale parla dei capitoli lato sensu. Dunque non si dovrebbe affermare una inconciliabilità dei due disposti, ma al contrario una probabile armonia.
Pio X nella Const. Ap. Vacante Sede Apostolica (25 dicembre 1904) chiarisce la questione, collocando tale divieto in un numero specifico rimasto fino ad oggi quasi invariato. Egli così dispone al n. 83 della Costituzione:
"Ugualmente proibiamo che i Cardinali, prima che procedano all'elezione, stipulino capitolazioni ovvero stabiliscano qualche cosa di comune consenso, all'osservanza dei quali s'impegnano se sono assunti al Pontificato. Tali cose, se de facto succedessero, pure con annesso giuramento, le dichiariamo nulle e irrite".
Il testo viene riconfermato senza modifica alcuna da Pio XII (cfr. Pius XII, Const. Ap Vacantis Apostolicae Sedis..., n. 96). Sia Paolo VI che Giovanni Paolo II lo conservano, apportandovi solo alcune lievi modifiche (cfr. RPE, n. 83; UDG, n. 82). Questa legge risulta carente sotto il profilo della sanzione per cui la disposizione normativa resta quasi senza una reale forza giuridica. La forza di cui si ammanta è la dichiarazione di nullità di queste capitolazioni. Le parti che volessero sottoscrivere tali accordi non avrebbero alcuna garanzia sul rispetto contrattuale dello scritto, né alcuna possibilità, a livello giuridico, di poter far valere quanto concordato. Il patto o l'accordo illecito non si costituisce e come tale non può avere, né ricevere in futuro, forza alcuna che possa costringere le parti a rispettarlo. L'azione è preventiva: si scoraggiano questi tipi di accordi attraverso la probabile non attuazione da parte di chi, una volta eletto, dovrebbe eseguire quanto promesso in tale "presunto contratto".
Qualche lieve differenza si scorge tra il disposto preso in esame e il precedente di Paolo VI. Nel n. 81 della UDG si parla di dare o negare il voto ad uno o ad alcuni in cambio di non precisati vantaggi, presenti e/o futuri. Qui, al n. 82, né si determina ciò che si dona, né si individua cosa si riceve: ciò che contraddistingue l'accordo è la condizione dell'adempimento. Coloro che partecipano a detto contratto si impegnano a rispettarlo solo ed unicamente in caso di propria elezione. Ogni tentativo di costituire un tale negozio giuridico ad opera dei Cardinali viene dal Legislatore dichiarato nullo ed invalido.
Pur precisando che il caso è puramente ipotetico, il presente testo non vieta ad un Vescovo di accordarsi con qualche Cardinale elettore in una capitolazione, dove si impegna, se eletto, ad alcuni specifici vincoli. Questi possibili accordi potrebbero essere sottoscritti per assurdo da chiunque. Ogni persona, che potenzialmente volesse tentare di essere eletto, potrebbe sottoscriverli. Il testo non è rivolto unicamente agli elettori, ma solo genericamente ai Cardinali. Forse, sarebbe stato meglio lasciare il divieto rivolto a chiunque potesse essere destinatario del diritto di voto passivo, affinché nessuno, anche all'esterno del Collegio Cardinalizio, potesse essere tentato di partecipare a detti accordi, confidando così nella sua elezione.